PNRR sardo, 600 mln di euro per l’energia del passato

La Regione chiede al governo 600 milioni di euro del Pnrr per una ”rete energetica regionale sarda”. Ma non ci si lasci ingannare dalle parole: si tratta del solito metanodotto – solo apparentemente accantonato nell’ultimo anno –  proposto dalla Snam e parzialmente approvato dal governo Conte. Ora la palla passa al governo.

Indiscrezioni di stampa parlano di un decreto “Sardegna” in arrivo, un atto con cui Palazzo Chigi dovrebbe dare indicazioni sulle infrastrutture del gas naturale in Sardegna. Il suggerimento è di allacciare le cinture.

Nella strategia della Regione si registra però un cambiamento. Si punta sull’idrogeno e sul biometano nel tentativo di rendere il metanodotto più rispondente alle esigenze di lotta al cambiamento climatico. Ma è solo marketing: non solo la produzione di idrogeno e biometano pone innumerevoli problemi, la loro funzione è soprattutto quella di allungare la vita del metano e avallare la realizzazione di nuovi metanodotti.

Il risultato è sempre lo stesso: la Sardegna si trasforma sempre più velocemente in una piattaforma energetica conto terzi al centro del Mediterraneo. Con l’ok del presidente Christian Solinas, a capo di una Regione Autonoma dotata di ampi poteri sulla distribuzione dell’energia. Poteri utilizzati non certo per realizzare una giusta transizione energetica sull’Isola (foriera di benefici anche sul piano economico), ma per soddisfare i desiderata dei signori del gas e infliggere un colpo letale alla nostra terra. Dal sardismo all’autocolonizzazione il passo è breve.

Si susseguono senza tregua le notizie sulla metanizzazione della Sardegna. Dopo i due nuovi grandi depositi/rigassificatori navali (Fsru) annunciati da SNAM, ora è il turno della Regione, che chiede al governo di finanziare una rete energetica regionale sarda con 600 milioni di euro del Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr).

Il progetto consiste nella “creazione di un sistema integrato per la produzione, il trasporto e la distribuzione di idrogeno da fonte rinnovabile e biometano con la realizzazione di una rete energetica regionale di gasdotti che consenta di trasportare gas naturale e gas rinnovabili in quote sempre crescenti fino all’utente finale civile, industriale e del trasporto. La rete comprende anche tratti di pipeline dedicati al vettoriamento esclusivo dell’idrogeno”. Questo è quanto si legge nel documento inviato a Palazzo Chigi lo scorso 29 aprile e reso pubblico dal giornalista Vito Biolchini.

Investimenti a perdere?

La richiesta della Regione fa sorgere una prima domanda. Perché Solinas chiede che venga finanziata con i fondi del PNRR un’infrastruttura che promuove l’utilizzo del metano, combustibile fossile tra i più climalteranti? Lecito, inoltre, domandarsi se questa richiesta di somministrazione di denaro pubblico non sia sintomo del fatto che il metanodotto non si regge dal punto di vista economico. Anche in questo caso, l’adagio potrebbe essere quello visto in altre occasioni: socializzazione degli investimenti (in perdita) e privatizzazione dei profitti.

Al centro di tutto c’è sempre il metano

Il puzzle della metanizzazione della Sardegna si arricchisce, dunque, di due nuovi elementi: l’idrogeno e il biometano. Ma non ci si lasci ingannare da dubbi maquillage. Per quanto si parli di rete energetica in grado di trasportare ‘gas rinnovabili’, il trasporto e la distribuzione di gas naturale – vale a dire del metano – restano il vero obiettivo. Lo afferma la stessa Regione, riferendosi implicitamente alla miscelazione con il metano. Lo si evince dall’ultima Relazione finanziaria e dal Piano strategico 2020-2024 della SNAM, multinazionale con testa, mani e piedi nel business del gas naturale. E lo conferma la recente notizia dell’investimento da 300 milioni di euro per acquisire due Fsru da ormeggiare a Portovesme e Porto Torres, infrastrutture galleggianti capaci di movimentare miliardi di metri cubi di gas, una quantità, cioè, di gran lunga superiore alle stime del Piano energetico regionale (ndr. si può fare a meno anche delle quantità indicate dal vecchio Piano energetico).

Insomma a Cagliari e a San Donato Milanese, dove ha sede la SNAM, si parla di idrogeno per dire metano. L’accento sull’idrogeno – e in modo particolare su quello verde ottenuto attraverso l’energia da fonti rinnovabili – è lo stratagemma impiegato per allungare la vita del metano e avallare la costruzione di nuove reti del gas, che per decenni legheranno le popolazioni locali all’uso dei combustibili fossili. Di fatto impedendo la costruzione di un nuovo sistema energetico basato sulla messa al bando dei fossili (decarbonizzare significa abbandonare tutti i combustibili in cui sia presente l’elemento “carbonio”), le comunità energetiche e l’elettrificazione dei consumi (tramite energia pulita perlopiù auto-prodotta con piccoli impianti domestici).

Idrogeno: allo stato attuale più dubbi che certezze

Certo, resta da capire in quali percentuali l’idrogeno possa essere introdotto nei metanodotti di nuova costruzione e nelle reti cittadine, per non parlare di quali dovrebbero essere gli impianti domestici in grado di utilizzarlo, tenendo conto del fatto che l’idrogeno forma miscele potenzialmente esplosive (non solo infiammabili) con l’aria a partire da una miscela del 18% fino al 60%.

Occorre anche fare chiarezza sulla fattibilità economica della produzione di idrogeno verde oggi. Secondo i dati diffusi dal Corriere della Sera, l’idrogeno ottenuto dall’energia pulita è ancora fuori mercato: costa dai 4 ai 6 euro al Kg. In secondo luogo, è un processo energivoro: c’è bisogno di tanta energia per produrlo. Infine, l’idrogeno  – compreso quello verde – non è desiderabile, se utilizzato per ridare vita alla grande industria. Ad esempio, la produzione di alluminio da allumina non sarebbe comunque sostenibile, vista l’ingente quantità di rifiuti inquinanti che verrebbe comunque prodotta; vale lo stesso per le raffinerie.

Due aspetti in modo particolare sono preoccupanti. Oltre ad allungare la vita del metano, nei piani della SNAM simili infrastrutture servirebbero per creare un mercato del biometano e dell’idrogeno.

Se parliamo di biometano, il pensiero corre ai problemi di land grabbing posti dalle colture energetiche (grandi estensioni di terra destinate, ad esempio, alla produzione di colza o di girasoli) o al massiccio utilizzo della frazione organica dei rifiuti attraverso la digestione anaerobica (processo che recupera meno materia del compostaggio e, in ogni caso, non esente da impatti inquinanti).

Se pensiamo, invece, all’idrogeno verde, il problema è dato dalla moltiplicazione delle richieste per la realizzazione di grandi impianti da fonti rinnovabili (in modo particolare, fotovoltaico) che dovrebbero fornire l’energia elettrica per produrlo.  Un fenomeno che già oggi si manifesta in maniera tumultuosa in Sardegna. Anche in questo caso abbiamo problemi legati al land grabbing, agli impatti ambientali, alla radicale trasformazione del paesaggio piegato ad una folle industrializzazione della natura. Un problema a cui non possiamo non essere sensibili, anche perché gran parte di questa energia non serve a noi sardi: è un surplus destinato a terzi.

L’idrogeno, dunque, potrebbe aver a che fare proprio con il ruolo di grande esportatrice di energia affibbiato alla Sardegna (e accettato dalla Regione), infatti, ha anche la funzione di stoccare l’energia prodotta in eccesso dalle fonti rinnovabili.

In ogni caso, l’idrogeno può assumere anche altri colori, ad esempio il grigio, nel caso venga prodotto da gas fossili. Oppure il blu, nel caso in cui le emissioni di C02 sprigionate dall’utilizzo dei fossili vengano stoccate nel sottosuolo. Una tecnologia, quest’ultima, dall’alto impatto ambientale rivelatasi fallimentare in tutto il mondo, ma che la Regione Sardegna continua a finanziare.

Ci dica, dunque, la Regione  per quali usi pensa di utilizzare l’idrogeno verde, precisi quanto ne serve. Chiarisca anche se intende avallare la produzione di idrogeno grigio o blu. Bisogna, in ogni caso, evidenziare come, dopo un lungo giro, si ritorni al solito punto di partenza: la rinnovata centralità dei combustibili fossili, nonostante i mantra della transizione ecologica e della sostenibilità, e l’utilizzo della Sardegna come piattaforma energetica. Sullo sfondo una Regione che, anziché programmare con raziocinio un corso energetico realmente eco-compatibile ed economicamente vantaggioso per i sardi, si concepisce come cassa di risonanza per progetti ad appannaggio di terzi. Niente di nuovo, dunque. La vera novità sarebbe una Regione che incomincia a fare gli interessi dei sardi.

No Metano in Sardegna

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